Il progetto presentato qui nelle sue linee generali si è concluso il 7 giugno 2012.
Si rimanda alla sezione Documenti conclusivi per la presentazione dei risultati.
È ormai noto che il nostro pianeta non solo offre una disponibilità limitata di beni (Wackernagel et al., 2002), ma è anche
molto “reattivo”: le perturbazioni che noi causiamo infatti – anche se di entità modesta e limitate nello spazio – innescano trasformazioni
che, a loro volta, interessano scale spaziali e temporali al di là della nostra percezione e comprensione. Questo
richiede un continuo sforzo volto sia alla conoscenza delle interconnessioni e delle interdipendenze tra i processi naturali, sia
all’acquisizione di strumenti per svilupparne la consapevolezza e contribuire alla sostenibilità ambientale del nostro pianeta.
Nel corso dell’ultimo secolo si è assistito ad una progressiva e rapida estensione della capacità della scienza e della tecnologia
di modificare, spostare e trasformare materia ed energia sul pianeta, in tempi sempre più brevi. In termini generali,
siamo di fronte a un aumento esponenziale della potenza di interazione tra tecnoscienza, ambiente e società. Sono esempi
di tecnologie ad alta potenza sia quelle estensive, che spesso determinano lo spostamento di popolazioni intere, sia quelle
intensive, come le biotecnologie e le più recenti nanotecnologie.
Caratteristica fondamentale di questo tipo di tecnoscienza è che i suoi effetti si rendono manifesti soltanto mentre la si realizza,
ovvero direttamente sul campo. Questo ha almeno tre ordini di conseguenze: il primo è che il livello di complessità
del sistema è molto elevato - non si tratta di un laboratorio nel quale le interazioni sono semplificate – e, dunque, dominano
incertezza e ignoranza. Il secondo è che la sperimentazione diretta non è reversibile. Complessivamente, questi due fattori
implicano a loro volta la possibilità che insorgano conseguenze negative impreviste, imprevedibili e non rimediabili. In altri
termini, in questo scenario ad alta potenza, la tecnoscienza promette benefici e nel contempo genera rischi ai quali non
necessariamente sa come rispondere. Infine, il terzo ordine di conseguenze consiste nel fatto che il tipo di conoscenza
utile a gestire una nuova tecnologia ad alta potenza non è definito a priori, ma è esso stesso il frutto di una negoziazione o
più spesso di una competizione tra diverse discipline. Questo introduce una sostanziale indeterminatezza. Per esempio, i
possibili danni alla biodiversità delle colture geneticamente modificate può essere descritto da una molteplicità di prospettive
egualmente legittime, quali quella della biologia molecolare, quella dell’ecologia delle popolazioni, quella degli agronomi e dei
coltivatori biologici che possono subire delle conseguenze negative, eccetera. Ciascuna prospettiva offre una spiegazione
parziale e/o rappresenta un interesse specifico.
In tale scenario la scienza, che sempre più viene chiamata in causa per aiutare nelle scelte, fornisce indicazioni che sono talvolta
in contraddizione tra loro. Questo provoca un disorientamento crescente da parte della cittadinanza che non sempre ha
strumenti/chiavi di lettura adeguati per valutare con consapevolezza: si pensi, ad esempio, ai cambiamenti nella percezione
del pubblico rispetto alla sicurezza alimentare, tipica area di interazione tra scienza e regolamentazione politica, insorti con
la crisi della sindrome BSE (la cosiddetta “mucca pazza”), o alla difficoltà di offrire un quadro non contraddittorio riguardo ai
cambiamenti climatici in corso, tale da orientare i comportamenti dei singoli e della collettivitià.
Nel prendere atto che la sperimentazione diretta sul nostro (unico) pianeta implica necessariamente la presenza di incertezza,
di ignoranza e di indeterminatezza nei modi di conoscere e prevedere della scienza, sin qui ritenuti infallibili, siamo
forzati a ridiscutere il rapporto di privilegio di cui il metodo scientifico ha goduto sin dalle sue origini, nell’indirizzare l’azione
politica. È questo lo scenario della cosiddetta scienza post-normale, elaborato negli anni novanta da due esperti di politiche
della scienza, Silvio Funtowicz e Jerry Ravetz. In esso si mette in evidenza la necessità, nel decidere in merito agli sviluppi
tecnoscientifici, di passare dalla consultazione di un ristretto gruppo di esperti scienziati, ad un dialogo aperto tra politici,
scienziati e cittadini. La cittadinanza estesa ha la funzione, in tale contesto, non solo di valutare la qualità della conoscenza
scientifica in gioco, ma soprattutto di creare a sua volta e di mettere a disposizione dei saperi rilevanti (Funtowicz & Ravetz,
1990; 1993).
Il concetto espresso attraverso la scienza post-normale è stato ripreso da altri studiosi ed in particolare da Gilberto C. Gallopin
che ne ha chiarito alcune caratteristiche e ha proposto di chiamarla “sustainability science” attribuendole qualità tali da
poter diventare un’efficace strumento concettuale in grado di sviluppare una conoscenza consapevole e collaborativa:
“in un mondo messo a rischio dalle conseguenze non volute del progresso scientifico, la fiducia sociale nelle dichiarazioni
ed istituzioni scientifiche non può più essere data per scontata. Sono necessarie procedure partecipative che coinvolgono
scienziati, stakeholders, sostenitori, cittadini attivi”. E ancora: “ la scienza della sostenibilità deve esplorare, applicare ed
insegnare un vasto insieme di strumenti e metodi, invece di focalizzarsi su pochi. Sarà ricettiva a nuove idee e visibilmente
più olistica (ma non per questo meno rigorosa) della scienza attuale. Accogliendo l’incertezza e incorporando gli aspetti
qualitativi porterà ad un enorme ampliamento dell’universo di soluzioni (e di domande)” (Gallopin, 2004).
Si tratta quindi di implementare nuove strutture politiche e sociali e nuove metodologie per aprire lo spazio pubblico e per democratizzare
non soltanto la conoscenza esperta, ma anche le modalità di comunicazione e di fruizione di tale conoscenza.
Inoltre, affinché la partecipazione estesa sia efficace, una riflessione organica deve essere dedicata a come creare consapevolezza,
come dare voce e potere all’immaginazione, individuale e collettiva, ovvero, in un’accezione di Sheila Jasanoff,
a come ‘dischiudere il potenziale democratico’ della società civile (Jasanoff, 2008). Si tratta, in altre parole, di aumentare
la capacità di riflettere collettivamente nell’interfaccia tra il piano fattuale, fondato sul “che cosa conosciamo” e il “che cosa
possiamo fare”, e quello valoriale del “che cosa desideriamo” e “di che cosa abbiamo bisogno”.
Il progetto di ricerca proposto dal Centro IRIS si colloca in questo scenario rispecchiando una tendenza, presente anche a
livello internazionale, di approccio sistemico ai problemi socio-ambientali e di studio interdisciplinare dei sistemi complessi e
dinamici (Editorial, 2007). Basti pensare alle più recenti evoluzioni dell’ecological economics, dell’industrial ecology e degli
studi sul metabolismo socio-economico, campi di studio all’edificazione dei quali si dedicano studiosi di provenienza disciplinare
diversa (economisti, biologi, geografi, sociologi, eccetera).
Questo progetto, pur articolato in filoni distinti, prende forma da alcuni assunti di base che esprimono un immaginario condiviso,
il quale condiziona le metodologie di ricerca e orienta verso specifiche finalità. Condividiamo l’idea del nostro pianeta
come sistema biofisico complesso e limitato, incessantemente attraversato da flussi di energia, materia e informazione,
in parte naturali, in parte alimentati e continuamente modificati dall’azione umana. Una varietà enorme e attualmente non
quantificabile di forme viventi, compresa l’umanità, condivide spazi e risorse limitati in questo sistema, interagendo tra loro
con varie modalità (competitive, cooperative, neutre) per soddisfare i bisogni primari e le proprie esigenze di benessere.
In particolare, condividiamo l’idea che tutti gli esseri umani hanno pari diritti e che dovrebbero essere messi in grado di
soddisfare i loro bisogni secondo un principio di equità (secondo Sen (2004): “ciò che assicura equità non è tanto o solo
l’uguaglianza di accesso ai beni essenziali, ma è la situazione che consente di esercitare le libertà sostanziali: in altri termini
la capacità di scegliersi una vita a cui (a ragion veduta) si dia valore”). Per ottenere questo fine è necessario che lo sviluppo
della conoscenza (in particolare della conoscenza scientifica) avvenga attraverso una partecipazione democratica, favorendo
l’espressione e il confronto di una molteplicità di punti di vista, necessari per affrontare i problemi complessi e controversi dei
sistemi socio-ambientali nei quali siamo inseriti.
La ricerca è focalizzata su due aspetti:
- i processi di produzione di beni di uso quotidiano;
- le scelte individuali che ne determinano il consumo e le implicazioni che questi due aspetti hanno in una prospettiva
di sostenibilità ambientale.
Al di là della varietà dei processi di trasformazione e di trasporto di materia, grazie ai quali il sistema produttivo offre i suoi
prodotti al pubblico, e al di là della varietà di scelte che le persone compiono nell’acquistare, usare e smaltire beni primari e/o
di consumo voluttuario, in realtà è possibile individuare alcuni meccanismi di base semplici. La storia di ogni cibo o oggetto
implica un certo flusso di energia (in parte solare in parte da fonte fossile) che è stato indirizzato, utilizzando processi naturali
e/o processi messi a punto dall’uomo, per trasformare e spostare materia.
Il concetto di ‘schiavo energetico’ – l’equivalente della potenza media di una persona (50 watt) – aiuta a visualizzare i flussi di
energia nascosti dietro a ogni processo, prodotto e azione della nostra vita di tutti i giorni. Vita che, a seguito di un rapidissimo
fenomeno di globalizzazione, in meno di 50 anni è stata modificata nelle abitudini, nei gusti, nelle scelte. Un tempo l’energia
solare catturata dalla biomassa fluiva in mille rivoli a bassa potenza, con trasformazioni per lo più naturali e a brevissimo
raggio, prima della restituzione di energia ‘disordinata’ che si disperdeva nello spazio. Ora l’energia solare, catturata non solo
dai viventi fotosintetici ma anche da una varietà di macchine (dalle centrali idroelettriche agli impianti eolici), e arricchita dalla
componente fossile, fluisce in un numero limitato di canali ad alta potenza che muovono materia attraverso l’intero pianeta.
Poche specie vegetali e pochissime specie animali vengono concentrate e trasformate in aree circoscritte e poi distribuite
lontano, dove le scelte dei consumatori vengono orientate tra queste poche varietà, solo apparentemente più varie di un tempo
perché ottenute mescolando prodotti che maturano in Paesi diversi o in periodi diversi. Lo stesso avviene per gli oggetti,
prodotti in grandi quantità in limitati luoghi di produzione e poi – con gran dispendio di energia – spostati nei grandi centri di
distribuzione.
La circolazione dei flussi di energia sul pianeta è attualmente governata – da un lato – dai grandi sistemi produttivi – e dall’altro
da miliardi di consumatori, sempre più spesso pilotati nelle loro scelte da potenti sistemi mediatici. Questi flussi di energia
determinano enormi cambiamenti nella qualità, quantità e distribuzione di materia contenuta nei grandi serbatoi del pianeta:
è la CO2 che si accumula nell’aria e negli oceani, sono i pascoli che hanno preso il posto delle foreste, sono i nuovi bacini
idrici creati dalle grandi dighe. La governance di questi flussi di energia determina altresì il livello di equità di cui possono
godere le persone: il loro accesso ai beni primari, la qualità dell’ambiente, le opportunità di sviluppare le proprie potenzialità
individuali e sociali.
L’obiettivo generale del progetto è quello di sviluppare alcuni strumenti appropriati per promuovere una transizione verso stili
di vita sostenibili. A tale scopo, è necessario sviluppare una conoscenza e una consapevolezza adeguati nei confronti dei
processi di produzione e consumo in atto nel sistema naturale, sociale ed economico complesso in cui viviamo. Processi con
i quali interagiamo, spesso inconsapevolmente, attraverso le nostre scelte e abitudini quotidiane.
Nel perseguire questo obiettivo si intendono offrire delle vie concrete che aiutino decisori pubblici, educatori e cittadini a
diventare soggetti attivi di cambiamento in una prospettiva di sostenibilità.
Le conseguenze socio-ambientali delle scelte quotidiane sono l’oggetto di questo studio che IRIS intende realizzare attraverso
un approccio altamente innovativo: le conoscenze scientifiche provenienti da rigorose ricerche di natura interdisciplinare
vengono affiancate alle altre forme di conoscenza.
Il tema trattato è estremamente trasversale in quanto in esso confluiscono aspetti e componenti dei diversi campi del sapere,
dell’etica, dell’economia e della politica della società contemporanea; per questo motivo esso deve essere affrontato in modo
interdisciplinare, mettendo in comunicazione elementi, fenomeni e situazioni apparentemente separati.
In contesti complessi – come quelli derivanti dall’interazione tra attività umane e ambiente – sono infatti cruciali sia la disponibilità
di competenze sia la capacità di coniugarle con saperi diversi (scientifici, economici e sociali) ogni giorno più vasti.
I diversi studi proposti si occuperanno ciascuno in modo specifico di un particolare aspetto relativo ai sistemi di produzione
e consumo, ma sono stati concepiti congiuntamente e verranno condotti in continua sinergia l’uno con l’altro, con l’obiettivo
di realizzare un percorso organico e realmente volto a favorire una transizione verso la sostenibilità. L’ambito geografico di
intervento delle ricerche sarà prevalentemente quello della Regione Piemonte.
Lo “sguardo” territoriale e ambientale che gli studi di environmental accounting (filone A) forniranno permetterà di costruire
un quadro globale sullo stato attuale del sistema e sui possibili scenari futuri. Gli indicatori e gli strumenti della contabilità
ambientale (material flow account, bilancio della CO2, ecological footprint, virtual water consumption) verranno impiegati,
inoltre, per quantificare i flussi di materia e di energia (e quindi di ambiente) nascosti in ciò che quotidianamente consumiamo.
Non sarà trascurata l’indagine territoriale, mirata ad evidenziare gli strumenti e le metodologie in atto o da implementare nel
sistema socio-economico attuale per una transizione verso sistemi produttivi a filiera corta, in grado di ottimizzare l’utilizzo
delle risorse e ridurre gli sprechi dovuti al trasferimento di componenti ambientali.
I dati di tipo quantitativo si affiancheranno a quelli qualitativi provenienti dal secondo filone di ricerca (filone B) che effettuerà
uno studio sul fenomeno, noto come rebound effect (effetto rimbalzo), osservato in seguito all’introduzione, in una prospettiva
di dematerializzazione, di un’innovazione tecnologica maggiormente ecoefficiente: il singolo sistema di produzione utilizza
meno risorse ma nel complesso l’entità dei consumi (sia di materia che di energia) è costantemente in crescita. I risultati
che emergeranno da questo studio potranno permettere anche di interpretare da una nuova prospettiva il tema del risparmio
energetico. Questo aspetto verrà approfondito attraverso un’analisi sulle determinanti qualitative e psicologiche dei profili del
consumo domestico,.Si tratta di una rigorosa valutazione sul tipo di tecnologie domestiche impiegate e sulle modalità del loro
utilizzo, allo scopo di individuare i margini di risparmio energetico ottenibili tramite modifiche comportamentali volte a ridurre
gli sprechi (senza necessariamente rinunciare a soddisfare dei bisogni).
I risultati di queste analisi interdisciplinari volte a fare emergere aspetti poco studiati sulla dematerializzazione e il risparmio
energetico, verranno inoltre impiegati da uno studio che si occuperà di un aspetto delle nostre abitudini quotidiane estremamente
rilevante a livello locale e globale: quello dell’alimentazione (filone C). La ricerca, di tipo epistemologico e didatticoscientifico,
si occuperà di analizzare il ruolo che il rapporto tra la scienza/tecnologia e i sistemi di produzione alimentare ha
avuto nel creare gli immaginari dominanti sull’alimentazione. Tale obiettivo rappresenta il punto di partenza per poter ideare
in seguito degli efficaci processi di coinvolgimento pubblico e dei percorsi formativi atti a sviluppare nuove competenze conoscitive,
metodologiche ed operative, grazie alle quali insegnanti in formazione e in servizio, e conseguentemente studenti
di scuola primaria e secondaria, possano riflettere su come mettere in atto scelte alimentari tenendo conto non solo delle
proprie necessità personali, ma anche dei vincoli ambientali e degli aspetti di equità sociale. La ricerca avrà a disposizione
i dati sui flussi alimentari che nel corso della realizzazione del progetto saranno messi a disposizione dal filone di environmental
accounting.
In seguito a una concezione organica, i differenti campi di ricerca del progetto proposto da IRIS si intersecheranno continuamente
attraverso un reciproco scambio di dati, riflessioni e prospettive. È prevedibile che gli esperti di contabilità ambientale,
ad esempio, oltre a fornire dati quantitativi alle altre ricerche, ricevano in cambio riflessioni in grado di stimolare nuovi e innovativi
approcci nell’interpretazione degli indicatori ambientali e del relativo valore diagnostico e prognostico.
I risultati ai quali si perverrà nei differenti filoni di ricerca, pur se accomunati dagli obiettivi condivisi del progetto, saranno
differenti a seconda dei destinatari cui saranno rivolti:
- gli studi di environmental accounting e nell’ambito dell’analisi territoriale punteranno a pubblicazioni su riviste scientifiche
specializzate ed a fornire alle Pubbliche Amministrazioni nuove chiavi di lettura della sostenibilità ambientale dei
sistemi socio-economici;
- le ricerche sull’eco-efficienza e il rebound effect intendono mettere a punto strumenti di valutazione utili ad evitare o a
contenere l’effetto rimbalzo, anche con riferimento alle strategie adottate dalle imprese in tema di corporate responsibility
e product stewardship;
- l’indagine sulle determinanti della domanda di energia ambisce a produrre risultati rilevanti per la comunità scientifica
ma anche per i decision makers e per un pubblico ampio; da presentare quindi tanto in pubblicazioni accademiche
come in executive summary e in seminari pubblici;
- il lavoro di ricerca sulla tematica dell’alimentazione si propone come risultato finale di realizzare e diffondere le riflessioni
teoriche emerse nel corso dell’indagine e raccolte in un volume corredato da materiale audiovisivo. Tali riflessioni
saranno il punto di partenza per promuovere in futuro, negli insegnanti e nel pubblico esteso, nuove competenze conoscitive,
metodologiche ed operative in merito alle relazioni tra produzione alimentare, consumi energetici e impatti
ambientali.
I prodotti finali specifici (report, pubblicazioni scientifiche, etc.) dei differenti filoni di ricerca verranno raccolti in itinere all’interno
del portale web di IRIS.
- Editorial (2207). Making connections. Nature 445, pp. 340.
- Funtowicz S. & Ravetz J. (1990). Uncertainty and Quality in Science for Policy. Kluwer Academic Publishers, Dordrecht: The
Netherlands.
- Funtowicz S. & Ravetz J. (1993). Science for the post-normal age. Futures 31(7), pp. 735–755.
- Gallopìn G.C. (2004). Sustainable Development: Epistemological Challenges to Science and Technology. Background paper
prepared for the workshop on “Sustainable Development: Epistemological Challenges to Science and Technology”, ECLAC,
Santiago de Chile, 13-15 October.
- Jasanoff S. (2008). Fabbriche della natura. Biotecnologie e democrazia. Il Saggiatore, Milano.
- Sen A. (2004). La democrazia degli altri. Perché la libertà non è un’invenzione dell’occidente. Mondatori, Milano.
- Wackernagel M. et al. (2002). Tracking the ecological overshoot of the human economy. PNAS – Proceedings of the National
Academy of Sciences of United States of America 99(14).