14 Gennaio 2011 - Homepage a cura di Vincenzo Guarnieri
"Non tutto ciò che conta può essere contato e non tutto ciò che può essere contato conta"
Albert Einstein
La Food and Drug Administration (FDA) degli Stati Uniti in questi mesi sta concludendo le sue valutazioni per decidere se autorizzare o meno l’allevamento del primo animale geneticamente modificato destinato all’alimentazione umana. Si tratta di un salmone, l’AquaAdvantage salmon, brevetto della multinazionale AquaBounty Technologies Inc. del Massachusetts, US.
All’interno del genoma di questo salmone atlantico è stato inserito il gene dell’ormone della crescita di un altro salmone (Chinook salmon), posto sotto il controllo di un promoter preso da un altro pesce ancora (Zoarces americanus). In sostanza, le cellule del pesce in questione producono una quantità maggiore di ormone della crescita che lo fa crescere di dimensioni a una velocità doppia rispetto ai salmoni wild type. Ciò lo rende particolarmente produttivo ed economicamente vantaggioso per l’industria dell’allevamento ittico.
Si tratta di una vicenda che sta suscitando una certa discussione sia sui mezzi di informazione che in ambito politico e scientifico, come dimostrano due brevi articoli apparsi alla fine dell’anno appena passato, uno su Science e l’altro su Nature Biotechnology, che mettono in luce alcuni aspetti critici come quelli legati alle procedure impiegate dalla FDA nell’analisi del caso.
Smith e collaboratori, autori dell’articolo su Science, dichiarano che per effettuare una più completa valutazione dell’impatto di questi salmoni è necessario considerare come il mercato mondiale dell’alimentazione verrebbe alterato dalla loro introduzione. In futuro si potrebbe produrre, vendere e mangiare più pesce e, quindi, bisognerebbe considerare quali sarebbero i relativi impatti sociali e ambientali [1].
L’articolo di Fox pubblicato su Nature Biotechnology invece mostra una panoramica generale sul dibattito in corso incentrato sui possibili rischi per la salute dell’uomo e degli ecosistemi [2].
In particolare, una delle grandi paure è quella legata all’eventualità che qualche pesce trangenico scappi dalle vasche di allevamento per raggiungere il mare aperto dove potrebbe riprodursi e “contaminare” i suoi cugini selvatici, la cui sopravvivenza è già ampiamente compromessa per varie ragioni, tra cui la pesca eccessiva.
Per tranquillizzare sulla questione, l’AquaBounty dichiara di garantire tutta una serie di barriere in grado di contenere la “fuga” [3]. Si tratta di barriere fisiche (filtri, vasche controllate, ecc.) che abbasserebbero la probabilità di evasione inferiore all’1%. Poi di barriere ambientali: la multinazionale prevede di produrre le uova in Canada e poi far crescere i pesci in una struttura a Panama. In entrambi i luoghi dichiara che le condizioni ambientali renderebbero “altamente improbabile” la sopravvivenza di eventuali fuggitivi.
Ed infine di barriere biologiche. Vengono impiegati solo salmoni femmine sterili. La sterilità è dovuta al fatto che questi salmoni sono resi triploidi, cioè contengono tre copie di ogni cromosoma e non due, come succede normalmente. Si garantisce che la percentuale di salmoni che rimangono fertili sia inferiore all’1,1% e che nel caso se ne trovasse più del 5% l’intera partita verrebbe distrutta.
Quindi i salmoni transgenici sono sicuri per gli ecosistemi oceanici?
Buona parte del dibattito su questa vicenda si incentra sull’attendibilità o meno di queste cifre, cioè sulla quantificazione del rischio "reale" associato al futuro allevamento dei salmoni transgenici. Tale attività produttiva sarebbe un nuovo esperimento compiuto dall’uomo nell’unico laboratorio-pianeta che ha a disposizione, così come è successo nel caso assai simile della coltivazione in campo aperto di piante transgeniche. Anche in questo caso l’incertezza e l’ignoranza su ciò che conosciamo non sono trascurabili.
La valutazione del rischio su sistemi così complessi potrebbe non avere grande significato.
Tanto più che in mezzo a tanti numeri, nel dibattito spesso si perde di vista il contesto in cui si inserirebbe questo nuovo metodo di allevamento di salmoni, cioè l’industria ormai dominante dell’acquacoltura (circa il 50% del pesce consumato oggi sulla Terra proviene da questa industria [4]) e la situazione di crisi alimentare globale.
Che fare quindi? Quali numeri ci servono davvero?
Quantificare, ottenere degli indicatori numerici per valutare l’impatto di un’attività è lo scopo della contabilità ambientale. Nelle pagine di questo sito si è già parlato di analisi dei flussi di materia (MFA), di impronta ecologica, di input/output e di ciclo di vita (LCA) (si vedano gli articoli di
Simone Contu e
Pancrazio Bertaccini). Queste metodologie forniscono un nuovo e utilissimo punto di vista per osservare un’attività umana. Risulterebbero quindi molto efficaci anche nel caso dell’allevamento intensivo dei salmoni geneticamente modificati.
Un’attività economica specifica oppure una città, una nazione o la Terra stessa, possono essere visti come organismi viventi nel senso che sono dotati di un proprio "metabolismo". Questa visione ha permesso di sviluppare alcune delle metodologie della contabilità ambientale volte proprio a quantificare tale metabolismo. Ma per farlo è necessario porre confini e semplificazioni per potere fare dei conti. I valori che si ottengono sono influenzati da tali convenzioni destinate a cambiare nel tempo, così com’è successo dai primi studi sul finire degli anni ’60 ai più recenti studi di MFA realizzati dagli istituti nazionali e internazionali di statistica (a titolo di esempio di veda [5,
6, 7]).
Insieme alle molteplici potenzialità del “fare i conti” con la natura, questo è uno dei limiti di cui bisogna essere consapevoli. Ma si tratta solo di limiti “tecnici”? Sempre su questo sito, Enzo Ferrara ha già posto in evidenza le criticità del “conoscere per agire” basato principalmente su misurazioni e calcoli (si veda il suo intervento). E altre considerazioni in merito potrebbero nascere mettendo in discussione il nostro modo di pensare e conoscere, tipicamente “occidentale”. Un modo per farlo è quello di andare a confrontarsi con popolazioni umane molto diverse dalla nostra, come gli Inuit dell’artico, gli Aborigeni australiani, i Pigmei africani e tutte le altre popolazioni indigene che ancora sopravvivono in alcune parti del mondo.
Il professore Fikret Berkes, ecologo canadese che da anni realizza ricerche tra le scienze naturali e quelle sociali, in uno studio pubblicato sulla rivista Futures nel 2009 mostra come per gli Inuit la precisione numerica sia di poca importanza nel descrivere un fenomeno [8]. Cita una ricerca che confronta gli indicatori utilizzati dai tossicologi (occidentali) e dagli indigeni per analizzare l’effetto dell’inquinamento sulla salute dei pesci. I primi tendono a ottenere dati numerici, come quelli sulle concentrazioni degli inquinanti o sui cambiamenti fisiologici negli animali, mentre i secondi si concentrano sulle anomalie che osservano nei loro comportamenti e nella qualità delle loro carni. Tali anomalie sono riscontrate sulla base di un’esperienza plurigenerazionale di intima e continua interazione con gli animali stessi. I primi utilizzano pochi e complessi indicatori numerici che interpretano uno per volta, i secondi tanti e semplici indicatori qualitativi (spesso sottoforma di aneddoti) che usano tutti insieme costruendo un quadro olistico della questione, cioè in questo caso, l’inquinamento e la salute dell’ambiente.
I numeri ci possono servire, ma non da soli. Berkes utilizza questo e altri esempi per evidenziare come i due sistemi di conoscenza, quello occidentale e quello indigeno, siano complementari. Usati insieme potrebbero ampliare le informazioni e la consapevolezza sui sistemi naturali e sugli impatti attribuibili alle attività umane.
Tornando al nostro punto di partenza, i salmoni trangenici, si può di certo lavorare per rendere più completa l’analisi del ciclo di vita per valutare l’impatto di questo nuovo tipo di acquacoltura. Ma chissà se a qualcuno è venuto in mente di chiedere un parere a questo proposito agli Inuit? In fondo loro convivono con i salmoni da migliaia di anni, potrebbero dire qualche cosa di interessante.
"I pesci vivi vanno controcorrente." R.Panikkar
[1] Martin D. Smith, Frank Asche, Atle G. Guttormsen, Jonathan B. Wiener “Genetically Modified Salmon and Full Impact Assessment”, Science, vol 330, pag 1052-1053, November 2010.
[2] Jeffrey L. Fox “Transgenic salmon inches toward finish line”, Nature Biotechnology, vol 28, n 11, pag 1141-1142, November 2010.
[3] Anastasia Bodnar “Risk Assessment and Mitigation of AquAdvantage Salmon” Information Systems for Biotechnology, Special Issue, October 2010 (scaricabile sul sito http://www.isb.vt.edu/news/2010/Oct10.pdf).
[4] Naylor et al. “Feeding aquaculture in an era of finite resources”, PNAS, vol 106, n 36, pag 15103–15110, September 2009.
[5] Heinz Schandl, Clemens M Grünbühel, Helmut Haberl, Helga Weisz “Handbook of Physical Accounting Measuring bio-physical dimensions of socio-economic activities”, Federal Ministry of Agriculture and Forestry, Environment and Water Management, Austria, 2002.
[6] Eurostat “Economy-wide material flow accounts and derived indicators. A methodological guide” European Commission, 2001.
[7] Eurostat “Economy-wide material flow accounts and derived indicators. A methodological guide” European Commission, 2007.
[8] Fikret Berkes, Mina Kislalioglu Berkes “Ecological complexity, fuzzy logic, and holism in indigenous knowledge” Futures, vol 41, pag 6–12, 2009.
- http://agora.torinovalley.com/divagatoriscientifici/2010/11/22/pasticcio-al-salmone-transgenico/
- http://www.wired.com/wiredscience/2010/11/genetically-modified-salmon/
- http://www.bbc.co.uk/news/business-11368657
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La prima immagine dell'articolo è di Vincenzo Guarnieri.
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