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Sostenibilità - Il Conflitto

“Io so che nella nostra vita precedente eravamo alberi, e anche in questa vita continuiamo ad essere alberi. Senza alberi non ci sono persone, dunque alberi e persone inter-sono. Noi siamo alberi, e aria, cespugli e nuvole. Se gli alberi non possono sopravvivere, anche l’umanità è destinata a perire”. (Thich Nath Hahn)

Introduzione

All'interno di un percorso di ricerca su un tema complesso e controverso come la sostenibilità, dove gli apporti di discipline e visioni diverse non si limitano ad indagare porzioni parallele del campo di studio, ma si intersecano e si scontrano in una dialettica fatta anche di reciproche incomprensioni e diffidenze o di scarsa comunicazione, risulta opportuno affrontare il tema del conflitto. Sapere riconoscere, affrontare e gestire il conflitto è una necessità importante per conferire un carattere di sostenibilità alla ricerca scientifica ed all'educazione.

Analisi del conflitto

Controversia e conflitto

In un percorso di analisi del conflitto risulta utile precisare alcune definizioni, come quelle che puntualizzano la differenza tra controversia e conflitto.

Consideriamo la controversia come una divergenza di opinioni, di punti di vista, teorie diverse.

Dal canto suo, il conflitto è una crisi della relazione tra le parti, in cui sono presenti una contraddizione di scopi, unita a sentimenti di disagio e sofferenza.

I tipi di conflitto

I conflitti si possono classificare in base a:

Le dimensioni riguardano principalmente il numero di attori presenti nel conflitto e la scala che può essere di livello interpersonale, di piccole comunità oppure di stati o grandi gruppi nazionali.

Inoltre il conflitto può interessare le relazioni all'interno di un determinato gruppo (ad esempio, un litigio in famiglia o una guerra civile) oppure tra due o più soggetti/gruppi. Naturalmente questo tipo di definizione è dipendente dal punto di vista: un contrasto in famiglia può essere letto come conflitto intra-famigliare oppure come conflitto inter-personale.

Articolazione del conflitto

In un conflitto è importante individuare:

Il conflitto ha come componenti fondamentali gli ATTEGGIAMENTI vissuti dalle parti, l'OGGETTO della contesa ed i COMPORTAMENTI messi in atto.

Livelli del conflitto

Sono inoltre individuabili due livelli:

Il livello manifesto riguarda i comportamenti adottati dalle parti, mentre ben due elementi su tre del conflitto restano ad un livello nascosto e sono quelli riguardanti i sentimenti, le percezioni e l'oggetto del contendere.

La mappa del conflitto

La mappa dei conflitti è una tecnica visiva per mostrare le relazioni tra parti in conflitto.

Può aiutare a capire meglio la situazione, a chiarire le relazioni di potere, a identificare possibilità di intervento.

Può essere usata all’inizio, insieme ad altri strumenti analitici oppure più tardi, per mettere a punto delle strategie di intervento.

Altre mappe possibili sono di tipo geografico, di rapporti di potere, dei bisogni, delle percezioni e sentimenti, etc.

Il ciclo del conflitto

Per lo più i conflitti non terminano, ma tendono ad evolvere; è possibile che, sebbene sembrino apparentemente conclusi, possano riemergere dopo tempi più o meno lunghi.

Rappresentato graficamente, il ciclo del conflitto mostra una curva in cui, dopo una rapida crescita di intensità (fase del "prima"), si assiste al raggiungimento di un massimo, con la conseguente discesa (fase del "durante"); il "dopo" consiste in una discesa costante che è soggetta però ad una nuova crescita - e ad una ripresa del conflitto - laddove le soluzioni elaborate fossero false, incapaci di permettere la trasformazione del conflitto.

Riflessioni sulla violenza

Conflitto e violenza

Non tutti i conflitti portano a violenza, ma molte situazioni di violenza sono situazioni di conflitto.

E' importante saper distinguere tra il conflitto, normale componente delle relazioni umane, e la violenza che ne rappresenta la degenerazione, dove l'attenzione si sposta dall'oggetto del contendere e dalla ricerca di una soluzione alla contesa al tentativo di eliminazione o di sottomissione dell'altro, visto in qualità di "nemico".

Tre tipi di violenza

Johann Galtung individua tre tipi di violenza, rappresentati in forma grafica dal triangolo della violenza.

La violenza culturale, insieme a quella diretta e a quella strutturale, compone i vertici di questo triangolo vizioso. Di fronte a una qualsiasi manifestazione di queste tre forme di violenza, si possono cercare le relazioni (di legittimazione, giustificazione, reazione…) che la collegano alle altre.

Qualche esempio: la pena di morte, la guerra, lo sfruttamento economico, la privazione di accesso alle risorse naturali...

L'escalation violenta del conflitto

Descritta da Glasl nel 1982 l’escalation si caratterizza per l’esistenza di "soglie", superate le quali il conflitto assume una nuova qualità: il carattere del conflitto viene modificato, e diventa difficile tornare indietro.

1° fase - Conflitto centrato sul problema

IRRIGIDIMENTO: le posizioni si cristallizzano; si sviluppa una percezione selettiva che porta a sottolineare gli aspetti positivi del proprio gruppo e si crea una maggiore coesione interna; in primo piano c’è l’oggetto del contendere.

POLARIZZAZIONE E DIBATTITO: le parti utilizzano la comunicazione come un duello verbale per vincere l’una sull’altra (contrapposizione negativa, distorsione del ragionamento dell’altro, atteggiamento che comunica superiorità…).

TATTICA DEL FATTO COMPIUTO: dalla comunicazione con le parole alla comunicazione con i fatti (“non serve parlare…”), i comportamenti diventano più negativi; la relazione con l’avversario peggiora.

PREOCCUPAZIONE per l’IMMAGINE e RICERCA di ALLEATI: la relazione diventa parte centrale del conflitto; sviluppo di una immagine del nemico totalmente negativa, ricerca di alleati.

2° fase - Conflitto centrato sulla relazione

PERDITA DELLA FACCIA: attacchi diretti alla posizione dell’altro; è la controparte in quanto tale a costituire “il problema”; ciascuna parte cerca di spiegare il “vero carattere” dell’altra, facendogli perdere la faccia

STRATEGIE della MINACCIA: compaiono atti violenti; ciascuno si sente minacciato e danneggiato da ciò che fa l’altro.

3° fase - Dalle parole ai fatti…

DISTRUZIONE LIMITATA: la comunicazione è interrotta, non si vede una soluzione al problema in cui vi sia spazio anche per l’altro, considerato ormai un ostacolo e un pericolo; azioni dirette contro la controparte, per distruggere il suo potenziale coercitivo; processi di de-umanizzazione.

DISINTEGRAZIONE: la base del potere, le risorse e la legittimazione all’esistenza dell’altro sono gli obiettivi da colpire.

DISTRUZIONE RECIPROCA: il solo scopo diventa l’eliminazione dell’altro, anche a prezzo della propria esistenza.

I bisogni umani fondamentali

Riflettendo sulla violenza è interessante soffermarsi a riconoscere i bisogni umani fondamentali, quelli contro cui agiscono gli atteggiamenti violenti; si distinguono bisogni interni al singolo ed altri di relazione.

I bisogni interni sono la sopravvivenza (legata ai concetti di benessere e sicurezza, ovvero all'assenza di violenza strutturale e di violenza diretta) e l'identità (legata al senso di appartenenza ad una comunità, ad un insieme di valori e tradizioni ed al senso di autostima e di realizzazione della propria esistenza individuale).

I bisogni di relazione coinvolgono l'autonomia (la possibilità di essere indipendenti, dando soddisfazione ai bisogni e sperimentando i propri limiti) ed il riconoscimento (l'essere accettati dagli altri e poter stabilire relazioni importanti e significative).

L'approccio nonviolento

Principi metodologici

Galtung definisce alcuni principi metodologici che tratteggiano un approccio nonviolento al conflitto:

Ad abbracciare questi principi metodologici Galtung espone i fondamenti per l'applicazione della nonviolenza al conflitto:

Trasformare i conflitti in modo nonviolento

Per trasformare in modo nonviolento i conflitti è necessario:

va riconosciuta ed evidenziata la differenza tra aggressività e violenza, mentre diventa necessaria una riflessione sugli atteggiamenti personali;

bisogna assumere la capacità di passare dalla relazione di violenza (basata sulla contrapposizione e sul prevalere) alla relazione di equivalenza (centrata sul riconoscimento reciproco). In questo modo può avvenire il passaggio dalla logica del vincere alla logica del comprendere.

Si possono rappresentare in modo grafico le due modalità per affrontare i conflitti; la modalità violenta attraverso un triangolo con ai vertici rancore e odio - incompatibilità di scopi - violenza; la modalità nonviolenta con un triangolo avente ai vertici empatia - creatività - nonviolenza.

Aggressività e assertività

Aggressività benigna

L'aggressività, in quanto carica di energia umana non è di per se stessa un elemento negativo; essa può essere impiegata in un contesto violento oppure nonviolento. L'aggressività, messa al servizio della nonviolenza, ha una sua natura "benigna" ed è orientata alla vita ed alla sopravvivenza, dando luogo ad un atteggiamento di combattività nonviolenta definibile come assertività.

L'assertività è dunque una capacità di esprimere e gestire i propri sentimenti in chiave positiva, di rapportarsi agli altri in modo costruttivo, attivo ed aperto. E' assimilabile ad una tecnica comportamentale (anche se in realtà richiede un fondamentale atteggiamento interiore) e come tale può essere imparata, esercitata, migliorata.

E' possibile rappresentare in modo visuale il rapporto tra forza, aggressività e violenza. La forza, intesa come "energia", combinandosi con l'aggressività benigna può dare luogo all'assertività ed alla capacità di lottare in modo nonviolento. Al contrario, l'aggressività quando assume un carattere violento ha come risultato la distruttività.

Atteggiamenti comuni nel conflitto

Alcuni dei più comuni atteggiamenti assunti nei conflitti si muovono tra quattro aree estreme. Il conflitto può essere affrontato o fuggito; nell'azione può essere esercitata violenza verso l'altro o violenza verso se stessi.

L'atteggiamento più costruttivo è quello attivo (il conflitto si affronta e non si sfugge) e adeguatamente bilanciato tra violenza verso l'altro e verso se stessi. Si viene ad assumere una prospettiva relazionale di tipo empatico, con l'utilizzo del dialogo.

Strategie nell'affrontare un conflitto

Le strategie per affrontare un conflitto si muovono in un'area compresa tra due direttrici: l'attenzione ai risultati e l'attenzione alle relazioni.

Al centro troviamo l'ipotesi del compromesso che - nella reciproca concessione - salvaguarda, ma solo parzialmente, sia l'efficacia nel raggiungimento degli obiettivi, sia le relazioni tra le parti.

Attorno al compromesso si sviluppano strategie che vanno dalla fuga (il conflitto non viene riconosciuto e quindi neanche affrontato), alla composizione (si salvaguarda il rapporto, cedendo però sui risultati), all'imposizione (la relazione è sacrificata in funzione del conseguimento degli obiettivi), fino alla risoluzione.

La risoluzione del conflitto prevede la cooperazione delle parti, raccogliendo informazioni, ricercando il dialogo e sondando tutte le alternative possibili, facendo uso della creatività. La preoccupazione e l'interesse sono per cercare una soluzione ("I care"). Tanto i risultati quanto la qualità delle relazioni sono considerati importanti.

Empatia

L’attribuzione di importanza a sé e agli altri è quindi da considerare come una pietra angolare della socializzazione, capace di massimizzare i vantaggi della risoluzione del conflitto.

Questo atteggiamento si esprime nella vita di relazione attraverso l'Empatia, che è la capacità di:

Gestione dei conflitti

Violenza nelle relazioni

Pat Patfoort ha espresso un modello che prende in esame la gestione del potere all'interno delle relazioni. Viene chiamato Modello Maggiore (M) – minore (m), dove M rappresenta l'abuso di potere ed m rappresenta il non uso del potere.

Il Modello M - m

Nel Modello M-m gli STRUMENTI sono le argomentazioni, considerate secondo tre categorie:

Il conflitto viene percepito in modo negativo, come fonte di pericolo, ambito di distruzione, possibile trappola.

Il COMPORTAMENTO che ne deriva è funzionale a vincere e comprende:

Nonviolenza nelle relazioni

Pat Patfoort elabora un ulteriore sistema che esprime un approccio non violento nelle relazioni ed una gestione dei conflitti basata sull'Equivalenza tra le parti in causa, nel rispetto delle loro differenze.

E' il Modello E - E.

Il Modello E - E

Il Modello E - E, esprimendo l'equivalenza tra le parti nel rispetto delle differenze, adotta come STRUMENTI la ricerca dei fondamenti e la trascendenza del conflitto, attraverso atteggiamenti come:

Il COMPORTAMENTO è funzionale a comprendere:

I due modelli a confronto

Confrontando i due modelli si possono riassumere le differenze di atteggiamento nel momento in cui una contraddizione di scopi - ovvero un conflitto che sta per nascere - viene ad instaurarsi tra le parti.

Il Modello M-m tende ad evidenziare ciò che divide, polarizzandosi sulle differenze di interessi, di sistemi, di valori.

Il Modello E-E ha la caratteristica di vedere non solo le differenze, ma anche ciò che può essere comune, riconoscendo l’identità dei bisogni primari.

Competenza per la trasformazione

Importante è anche un confronto nella gestione dei sentimenti di frustrazione o rabbia che possono essere legati ad un conflitto da parte dei due modelli.

Nel riassunto che segue sono prese in esame le tappe che - nei due modelli - portano dall'evidenziarsi dell'emozione alla chiusura del conflitto.

Relazione di violenza M-m (Logica del vincere)

Di fronte ai sentimenti di rabbia e indignazione legati ad un conflitto la reazione è...

Relazione di equivalenza E-E (Logica del comprendere)

Di fronte ai sentimenti di rabbia e indignazione legati ad un conflitto la reazione è...

Il conflitto si esaurisce da una parte con la prevaricazione di uno sull'altro (modello M-m), dall'altra parte con la ricerca delle vere motivazioni, dei fondamenti, per giungere alla trascendenza del conflitto (Modello E-E: il conflitto si esaurisce, le parti hanno trovato un punto di convergenza ampiamente soddisfacente per tutti).

Conflitto ed educazione

Piste educative

L'educazione rappresenta un passaggio chiave nello sviluppo, in gruppi di persone sempre più ampi, di competenze per la gestione nonviolenta dei conflitti.

Un'educazione caratterizzata da un approccio olistico può affrontare con coerenza i grandi temi della nonviolenza e della sostenibilità, recependo l'attenzione alla complessità ed all'interazione tra le parti, affrontando l'intreccio tra realtà esterna ed interna a sé e tra presente, passato e futuro.

Importanti piste per un'educazione alla sostenibilità possono essere l'educazione ai futuri e l'educazione ambientale, intesa anche come sviluppo della consapevolezza del Sé ecologico.

Educazione ai futuri

L'educazione ai futuri si fonda sulla convinzione che le idee che le persone hanno del futuro influenzano il modo in cui agiscono ora, mentre le loro azioni nel presente hanno influenza sul futuro. Questa dinamica a spirale porta alla possibilità di incidere in modo positivo sul futuro, riuscendo a prefigurare con l'immaginazione e la creatività il mondo che ci attende.

In quest'ottica è importante aiutare i giovani a diventare più attivi nell’immaginare il futuro preferito, in particolare sviluppando capacità volte a:

L'atteggiamento assume una valenza notevole, tanto da poter identificare un ciclo della rassegnazione ed un ciclo del rafforzamento.

Nel ciclo della rassegnazione, a fronte di obiettivi eccessivamente ambiziosi ("conoscere tutti i fatti") si percorre un cammino di eccessiva afflizione, di fallimento, di senso di colpa o addossamento di colpa, di cinismo, disperazione, rinuncia.

Nel ciclo del rafforzamento, definendo obiettivi raggiungibili localmente, si tende ad intraprendere compiti limitati, con buone probabilità di successo, lo sviluppo del senso di efficacia, l'applicazione della creatività e la costante ricarica energetica derivante dal raggiungimento dell'obiettivo.

Verso lo sviluppo del Sé ecologico

Sviluppare la capacità di riconoscersi come parte dell'elemento naturale può avere un significato molto profondo nel definire la nostra posizione rispetto all'ambiente ed al cosmo.

"La grande visione sistemica del mondo ci aiuta a riconoscere la nostra ‘immersione’ nella natura, supera la nostra alienazione dal resto della creazione, e modifica il modo in cui noi possiamo fare esperienza di noi stessi attraverso un processo di identificazione in continua espansione”.

“Il sé è una metafora. Possiamo decidere di limitarlo alla nostra pelle, alla persona, alla famiglia, alla nostra organizzazione, alla nostra specie. Possiamo scegliere i suoi confini nella realtà obiettiva. La nostra consapevolezza illumina un piccolo arco nelle più ampie correnti e negli intrecci di sapere che ci interconnettono. Ed è del tutto plausibile concepire una coesistenza con con questi intrecci più ampi - con la rete che connette”.

Macroconflitti e complessità

Aspetti problematici del sapere tecnico-scientifico

Un dato problematico che riguarda le possibilità offerte dalla tecnologia per superare i problemi di insostenibilità è quello che rende evidente come le nuove capacità sviluppate dalla scienza non aggiungono risorse nuove al sistema-terra, ma piuttosto sono come un rubinetto, che consente all’umanità di estrarre materie prime (legno, metalli, combustibili fossili) a ritmo crescente, per produrre una quantità sempre più grande di beni di consumo che poi vengono "restituiti" ai sistemi naturali come prodotti di rifiuto.

In questo modo la tecnologia è un acceleratore, un fattore di aumento della potenza di intervento umano, un ulteriore elemento che tende a radicalizzare la disequazione tu < tn portando i tempi umani ad essere via via inferiori ai tempi di rinnovamento naturali delle risorse.

Approccio riduzionista e approccio sistemico

Per far fronte in modo più adeguato alla complessità dei sistemi naturali e del pensiero, l'ottica riduzionista sulla quale si muove tradizionalmente la scienza può essere integrata da un modo di pensare sistemico che si occupa non tanto di scomporre i problemi, cercando di esaminare modelli facilmente riproducibili, bensì di considerare molteplicità di prospettive, allargando lo sguardo all'insieme di relazioni e feedback che caratterizzano l'oggetto dello studio.

La valenza dei due tipi di pensiero non è esclusiva e, al contrario, essi rappresentano due modalità differenti ma entrambe efficaci per effettuare ricerca; l'approccio riduzionista lineare ha dato gli ottimi frutti che conosciamo nello sviluppo del metodo scientifico sperimentale, consentendo il raggiungimento di obiettivi molto elevati. L'approccio sistemico, un po' trascurato dalla scienza, è in grado di contribuire alla ricerca fornendo chiavi di lettura importanti per capire le interrelazioni e la complessità.

Gestione dell'incertezza e principio precauzionale

"Noi tendiamo a vivere in un mondo di certezze, di percezioni radicate, non sfiorate da dubbi; siamo convinti che le cose sono così come le vediamo, e che non c’è alternativa a ciò che sosteniamo come verità. Questa è la nostra situazione quotidiana, la nostra condizione culturale, il modo abituale in cui esprimiamo il nostro essere umani. Ora… questa è una sorta di invito a trattenersi dall’abitudine di cedere alla tentazione della certezza." (H. Maturana e F. Varela - L’albero della conoscenza)

Un modo di pensare che integri linearità e visione sistemica non può non tenere conto dell'incertezza; la pluralità dei punti di vista e la complessità dei problemi rendono necessario infatti abbandonare la ricerca di risposte certe. Quando si ragiona intorno a questioni controverse, si può argomentare, ma non si può "dimostrare" nel senso scientifico del termine. E’ necessario dunque prendere decisioni in condizioni di "ignoranza".

Nella consapevolezza di trovarsi a scegliere in condizioni di ignoranza, è necessario ammettere la possibilità dell'errore; un giusto principio di precauzione ci suggerisce quindi di cercare di mantenere gli errori entro limiti di correggibilità.

Si ritorna al concetto di "reversibilità delle azioni" già enunciato tra i principi metodologici dell'approccio nonviolento al conflitto.

La scienza post-normale

La scienza post-normale - concetto proposto da Funtowitz e Ravetz nel 1989 (S.O. Funtowicz and J.R. Ravetz, 1989, Post-normal Science: A New Science for New Times, Scientific European 20-22, Heidelberg) - suggerisce una visione secondo cui l'affrontare problemi complessi e controversi richiede che si esprima una varietà di punti di vista, tutti ugualmente rispettabili, senza porre limiti rigidi alle prospettive da prendere in esame. Vi è in un certo senso la legittimazione del pensiero creativo come strumento di indagine scientifica. Con l'aumentare dell'incertezza del sistema e della posta in gioco, l'adeguatezza dello strumento di studio passa dalla scienza applicata, alla consulenza professionale alla scienza post-normale.

“[…]

Un approccio ai problemi della ricerca in contesti complessi e con implicazioni politico-sociali è rappresentato dalla “Scienza Post-Normale” (S. O. Funtowicz and J. R. Ravetz, 1989, Post-normal Science: A New Science for New Times, Scientific European, 20-22, Heidelberg; S. O. Funtowicz and J. R. Ravetz, 1991, A New Scientific Methodology for Global Environmental Issues, in The Ecological Economics, R. Costanza (ed.), Columbia University Press, NY, 137-152, and Futures, 1999, Special Issue: Post-Normal Science, J. R. Ravetz (ed), 31:7).

Tale prospettiva si occupa di aspetti di problem-solving che sono solitamente trascurate nei resoconti tradizionali della pratica scientifica: l’incertezza e i giudizi di valore. Inoltre essa spiega adeguatamente le ragioni di una partecipazione più estesa ai processi decisionali su questioni scientifiche, fondandole sull’esigenza di garantire la qualità in tali aree.

Complessità

Il numero, la varietà e la complicazione delle questioni in gioco potrebbe scoraggiare chi cerchi di comprendere la ricerca scientifica per finalità di policy. Si è naturalmente tentati di ridurre tali questioni a elementi più semplici e gestibili, come i modelli matematici e le simulazioni al computer. Dopotutto, questo programma ha decretato finora il successo della scienza occidentale. Ma i problemi in quest’area presentano caratteristiche che impediscono all’approccio riduzionistico di ottenere risultati di una qualche utilità. Si tratta dei problemi ai quali ci riferiamo impiegando il termine “complessità”.

La complessità è una proprietà di alcuni tipi di sistemi; questa proprietà li distingue dai sistemi semplici, o semplicemente complicati. I sistemi semplici possono essere rappresentati (in teoria o in pratica) attraverso un’analisi causale deterministica, lineare. Sono tali le spiegazioni scientifiche classiche, in particolare quelle di campi prestigiosi come la fisica matematica. Talora questi sistemi richiedono, per essere spiegati o controllati, più variabili di quante ne vengano specificamente indicate nella teoria. In questi casi lo scopo viene raggiunto con metodi diversi: e il sistema viene allora definito “complicato”.

La distinzione tra scienza e ingegneria –dove il secondo termine si applica quando entra in gioco più di una mezza dozzina di variabili, è un buon esempio della distinzione tra sistemi semplici e complicati.

Quando siamo di fronte alla vera complessità, ci imbattiamo in fenomeni di tipo diverso.

Esistono molte definizioni, in parte sovrapponibili, di complessità collegate ad aree scientifiche diverse, come lo studio degli ecosistemi, degli organismi, delle istituzioni sociali o della loro simulazione artificiale.

[…]

La Scienza Post-Normale come ponte tra sistemi complessi e policy

L’idea che la scienza possa essere in qualche modo “post-normale” trasmette un senso di paradosso e forse di mistero. Il termine “normalità” può avere due significati. Il primo allude - secondo la teoria di Thomas S. Kuhn (T. S. Kuhn, 1962, The Structure of the Scientific Revolutions, University of Chicago Press, Chicago, IL) - all’immagine della ricerca scientifica che normalmente consiste nel risolvere un rompicapo all’interno di un (qui) indiscusso e indiscutibile “paradigma”. Il secondo significato consiste nel ritenere che il contesto politico-decisionale sia normale, nel senso che l’attività routinaria di soluzione di rompicapo realizzata dagli esperti fornisca una base di conoscenza adeguata per le decisioni politiche.

[…]

L’intuizione che conduce alla Scienza Post-Normale consiste nel fatto che, nei problemi di ricerca finalizzati a scelte politiche, tipicamente i fatti sono incerti, i valori controversi, le poste in gioco alte e le decisioni urgenti. Si potrebbe obiettare che tali problemi non sono scientifici; ma è facile rispondere che questi problemi sono ubiqui e che quando la scienza viene applicata ad essi (come di fatto accade), le condizioni non sono mai di normalità. Infatti la precedente distinzione tra dati scientifici e oggettivi hard, e giudizi di valore soggettivi soft viene in questo caso invertita. Troppo spesso si devono prendere decisioni politiche dure laddove i nostri inputs scientifici sono irrimediabilmente fragili.

La differenza tra condizioni vecchie e nuove può essere esemplificata con le attuali difficoltà dell’approccio economico classico alla politica ambientale. Tradizionalmente, l’economia ha cercato di mostrare che gli obiettivi sociali possono essere conseguiti più agevolmente attraverso meccanismi che operano automaticamente in un sistema essenzialmente semplice. La metafora della “mano nascosta” di Adam Smith veicola la convinzione che le interferenze intenzionali nel sistema economico non producano nessun vantaggio e diano luogo a molti danni. Questa visione non è cambiata da allora ad oggi. Ma per raggiungere la sostenibilità, i meccanismi automatici sono chiaramente insufficienti.

[…]

Quando i libri di testo falliscono, la scienza finalizzata alle scelte politiche deve diventare “post-normale”. Quando le assunzioni di semplicità e certezza sono totalmente inappropriate, la finalità di acquisire conoscenza fattuale deve essere sostanzialmente modificata. In condizioni post-normali, puntare a fatti “duri” e oggettivi può diventare un particolare irrilevante, una sorta di diversivo. In questo caso si deve adottare un principio-guida più robusto, cioè la qualità della conoscenza.

Si potrebbe osservare che la qualità è sempre stata tenuta in grande considerazione nella ricerca scientifica, ma è stata largamente ignorata dalla filosofia e dalla ideologia della scienza dominanti.

Dal punto di vista della scienza post-normale la qualità diventa cruciale, e la qualità si riferisce sia al processo sia al prodotto. E’ diventato sempre più evidente nella riflessione politologica che in questioni complesse, laddove manchino soluzioni precise e sia necessario l’appoggio di tutti gli stakeholders, la qualità del processo decisionale sia un elemento cruciale per la realizzazione di una decisione efficace. Questa recente consapevolezza riguarda sia gli aspetti scientifici della decisione sia le componenti non scientifiche.

La Scienza Post-Normale può essere messa in relazione a strategie complementari più tradizionali attraverso un diagramma. In esso è possibile prendere in considerazioni due assi cartesiani, “le incertezze di sistema” e “le poste in gioco nella decisione”. Quando entrambe sono di piccola entità, ci troviamo nel campo della scienza normale e sicura, in cui la conoscenza specialistica risulta pienamente efficace. Quando entrambe sono di media entità, allora l’applicazione di tecniche di routine non basta: sono necessari abilità, capacità di giudizio e anche coraggio. Definiamo questi requisiti ulteriori “consulenza professionale”, come nel caso del chirurgo o dell’ingegnere capo. Le società moderne si sono avvalse di eserciti di “scienziati applicati” che hanno spinto avanti le frontiere della conoscenza e della tecnica, professionisti che hanno svolto un ruolo di primo piano sia come innovatori che come custodi dell’ordine creato.

[…]

Nei nuovi problemi di scienza post-normale la qualità dipende da un dialogo aperto tra tutti coloro che ne sono toccati. Possiamo chiamare l’insieme di tali soggetti “comunità estesa di pari grado (peers)”, una comunità formata non solo da individui istituzionalmente accreditati, ma piuttosto da tutti coloro che desiderano partecipare alla risoluzione di una questione, contribuendo con il proprio sapere.

[…]

Valutata fuori dal contesto appropriato, la proposta di una “comunità estesa di esperti” sembra comportare la diluizione dell’autorità della scienza e la sua riduzione all’arena politica. Ma qui non stiamo parlando delle aree tradizionali di ricerca e sviluppo industriale; ma piuttosto di questioni in cui i problemi di qualità sono cruciali e i meccanismi tradizionali per garantire la qualità sono evidentemente inadeguati.

[…]

Nessuno può sostenere che il recupero della qualità attraverso una comunità estesa di esperti sia un compito facile e privo di errori. Ma nel processo di estensione della comunità di esperti attraverso l’approccio della Scienza Post-Normale possiamo intravedere una via da percorrere, sia per la scienza sia per i problemi complessi di ricerca collegati alla policy.

[…]

Conclusioni

L’approccio della Scienza Post Normale non deve essere interpretato come un attacco alla scienza accreditata degli esperti, ma piuttosto come un aiuto e un arricchimento. Il mondo della scienza normale al quale questi scienziati sono allenati trova un posto nella ricerca destinata a finalità pubbliche, ma richiede di essere integrata con la consapevolezza della natura post-normale dei problemi con i quali ci confrontiamo.

La gestione dei sistemi complessi come se si trattasse di esercizi scientifici semplici ci ha condotti all’attuale miscela di trionfo e pericolo. Noi siamo i testimoni dell’emergere di nuove strategie di risoluzione dei problemi, nelle quali il ruolo della scienza, pur importante, viene ora valutato nell’ampio contesto delle incertezze dei sistemi naturali e della rilevanza dei valori umani.”

Silvio Funtowicz, La Scienza Post-Normale. Scienza e governance in condizioni di complessità, Institute for the Protection and Security of the Citizen (IPSC), European Commission - Joint Research Centre (EC-JRC), 21020 Ispra (VA) - Italy

Educazione scientifica e macroconflitti

Alcuni possibili principi guida per lo studio della complessità dei sistemi naturali e del pensiero risiedono nell'applicazione dei principi di:

In ambito di educazione scientifica, associando questi tre livelli di ricerca della conoscenza:

gli studenti possono essere coinvolti in problemi controversi e studi di casi conflittuali e invitati a discuterne tenendo ben presente il contesto di riferimento: i limiti biofisici del nostro pianeta vivente.

 

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