Ho conosciuto Nanni da giovane aspirante obiettore di coscienza al servizio militare, mentre mi stavo preparando a svolgere il servizio civile...
Ho conosciuto Nanni da giovane aspirante obiettore di coscienza al servizio militare, mentre mi stavo preparando a svolgere il servizio civile nella Caritas diocesana di Torino. A quel tempo la mia obiezione di coscienza era debole e confusa, più un rifiuto del servizio militare che una reale riflessione sulla nonviolenza che avrebbe dovuto sottendere un’obiezione di coscienza ad una legge dello Stato. Negli incontri di formazione per aspiranti obiettori organizzati dalla Caritas ebbi modo di conoscere Beppe Marasso. La sua visionaria conferenza “La nonviolenza in 10 parole di Gandhi” aprì un orizzonte del tutto nuovo alla mia coscienza. Fu Beppe Marasso, al termine dell’incontro, a suggerirmi di conoscere Nanni Salio. In realtà io avevo già incontrato il prof. Salio all’Università di Torino come docente delle Esercitazioni di Fisica nel corso di laurea di Scienze Biologiche. Era un ottimo insegnante capace di spiegare con chiarezza problemi complessi con una calma strana, profonda, che ti permetteva di riflettere, meditare sul problema. E poi sembrava possedere una grazia particolare nel seguire sempre il filo logico più semplice. Ma non immaginavo cosa ci fosse dietro quella sua “grazia”.
Nel 1983 conobbi Nanni in altra veste, nella storica sede MIR-MN di Via Assietta. Uguale a se stesso come scienziato, ma in un contesto in cui impegno politico, razionalità scientifica e spiritualità laica si fondevano armoniosamente. Erano gli anni dei Verdi, della lotta al nucleare e contro i missili a Comiso, della campagna di obiezione di coscienza alle spese militari. Erano anche però anni di speranza dove i temi della pace si intrecciavano con quelli dell’ambiente nella ricerca di un nuovo modello di sviluppo. Nanni incarnava questa speranza di Pace, Ambiente e Sviluppo (che diventerà poi l’intitolazione della biblioteca del Centro Studi Sereno Regis). Dai sui ragionamenti teorici discendevano scelte di vita che facevano della coerenza il suo stile. La sua nonviolenza, ben simboleggiata dalla mitezza sostenuta dal rigore intellettuale che lo caratterizzava. Il suo ambientalismo, ben simboleggiato dall’uso sistematico della bicicletta come mezzo di trasporto. La sua semplicità volontaria ben simboleggiata dai maglioni indossati, che confezionava da sé. Idea e azione erano per lui inseparabili. Nanni cambiò così, radicalmente, il mio modo di vivere la nonviolenza. Negli anni diventai biologo e cominciai a lavorare come ricercatore all’università. Nanni mi stimolava con la riflessione e con l’esempio a guardare oltre, ad andare oltre.
Nel 1997, prima del mio trasferimento in Sicilia, accettai il suo invito a coordinare le attività del Centro Studi Sereno Regis, che si stava trasferendo in via Garibaldi. Trascorsi così un anno a stretto contatto con Nanni. Un contatto quotidiano, mai invadente, dal quale imparai molto. Imparai soprattutto che le grandi visioni, quelle importanti, hanno bisogno di grande coraggio. E ci voleva coraggio ad immaginare che dal cortile interno avremmo un giorno sfrattato la banca che dava su Via Garibaldi, e anche oltre. Nanni aveva chiaro che la nonviolenza rimane un’idea effimera se non si riesce a darvi continuità quotidiana creando gli spazi dove coltivarla e una comune unità (comunità) che vive quegli spazi. Sapeva ritrarsi con umiltà per lasciare che ciascuno trovasse il proprio posto. È così che la sede di Via Garibaldi è diventata quel crocevia di idee, proposte, iniziative, azioni che è oggi. Sapeva essere persuasivo e poco alla volta realizzò il suo sogno: acquisire gli immobili che avrebbero dato spazio alla nonviolenza. Contro il parere di tutti. Persino dell’inseparabile Daci, che un giorno mi avvicinò e, con il suo fare ironico, espresse tutta la sua perplessità: “Ma cosa vuol fare il mio ‘Napoleone’?”
Inventammo la figura del Presidente e del Direttore del Centro Studi per essere riconoscibili negli incontri istituzionali, senza che questo cambiasse mai il nostro modo di rapportarci. Nanni sapeva essere autorevole nella sua mitezza, non aveva bisogno di orpelli. Qualche volta la sua mitezza veniva scambiata per timidezza, il suo rigore intellettuale per rigidità. Così accadde nel Campo di Impruneta, a metà negli anni Novanta. Durante un gioco di ruolo, Nanni venne duramente attaccato. Ricordo la sua seria ma tranquilla replica, la sua voce che non cambiava di tono anche nella concitazione della disputa. Fino a quando, con il suo tenace, ostinato argomentare, sempre aperto e maieutico, riuscì a placare la contesa. Al termine lo avvicinai. “Sei stanco?” Lui sorrise e alzò le sopracciglia, con il suo caratteristico gesto rassicurante.
Nel 2001, al mio ritorno dalla Sicilia ebbi un lungo colloquio con lui, durato un’intera giornata. Dovevo ridare ordine alla mia vita professionale, in bilico tra la biochimica che tanto mi appassionava e il desiderio di realizzare qualcosa di nuovo. Ad un certo punto Nanni trasse da uno scaffale il libro L’universo al di là dello specchio. Lo avevamo tradotto insieme a sua figlia Chiara. Era stato un lavoro impegnativo, non facile. Sorrise. “Quello che sai fare tu in laboratorio lo può fare qualcun altro? Probabilmente sì. Quello che sai fare tu per la nonviolenza non lo può fare nessuno”. Come accadeva quasi sempre con Nanni, il colloquio si concluse con il suggerimento di una qualche lettura (“Hai letto…?” era l’incipit più ricorrente con lui). Quella sera mi diede in mano La grana delle cose di Gary Snyder. Era il suo modo di suggerirmi di andare oltre e per la seconda volta cambiò il mio modo di vedere la vita. Passare da un’ecologia superficiale a una più profonda. Andare oltre, trascendere l’ecologia stessa, divenne il mio obiettivo.
Grazie Nanni. Addio e spero di incontrarti ancora, oltre il velo della materia.
Giuseppe
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