IRIS - Istituto di Ricerche Interdisciplinari sulla Sostenibilità
 

Ambiente, guerra, sostenibilità e... scienza

5 Aprile 2012: homepage a cura di Elena Camino


La distruttività ambientale della guerra

Questa homepage prende spunto da un ricerca in corso sul tema ‘ambiente & guerra” sviluppata nell’ambito di un Progetto di Servizio Civile (SC) nato dalla collaborazione del Centro Studi Sereno Regis (http://serenoregis.org/ ), con il Gruppo ASSEFA Torino (www.assefatorino.org) e con il Centro IRIS.
Partendo dalla constatazione che – quando si parla di sostenibilità ambientale – raramente si affronta il tema della guerra, due giovani in SC hanno cercato documentazione e approfondito alcuni aspetti della relazione tra AMBIENTE & GUERRA, esplorandolo da due punti di vista:
- gli effetti ambientali delle guerre
- le cause ambientali delle guerre

Relazione tra ambiente e guerra

La guerra è sempre più al centro di un circolo vizioso in cui (a) le guerra provocano danni ambientali e contribuiscono a ridurre le risorse naturali; (b) la riduzione di risorse naturali induce a scatenare guerre per appropriarsi di risorse sempre più scarse; (c) le guerre provocano nuovi danni ambientali…

Una breve sintesi della ricerca è stata pubblicata nella Rivista ‘ScienzaePace” del Centro interdisciplinare ‘Scienze per la Pace’ (Università di Pisa: http://pace.unipi.it/) con il titolo ”Gli effetti ambientali delle guerre” (Gasparri & Larecchiuta, 2011). La ricerca intanto procede, anche se a ritmo ridotto...
C’è chi ritiene la guerra uno strumento inaccettabile, chi invece lo considera un male talvolta necessario (per esempio per la difesa della patria, o per la salvaguardia della democrazia).
Vi è invece un certo accordo sul fatto che le guerre siano ambientalmente distruttive, anche se – paradossalmente - questo aspetto viene sistematicamente rimosso: in altre parole, l’INSOSTENIBILITA’ ambientale della guerra non viene presa in considerazione. Questo occultamento si può forse attribuire al fatto che è ancora dominante la narrativa costruita dall’approccio neoliberista, secondo cui i sistemi naturali sono ‘sostituibili’ e l’ingegno umano – con la sua tecnologia – può trovare soluzione a qualunque crisi ambientale, quindi a ‘riparare’ i danni inflitti dalle guerre.

Guerra e tecnoscienza: una relazione controversa

Vi è invece una certa disparità di vedute sul ruolo che la moderna tecnoscienza sta svolgendo rispetto ai conflitti armati che con crescente frequenza si manifestano nel mondo. Uno dei ‘nodi’ del dibattito – soprattutto sul piano etico – è l’idea di scienza, la sua natura dal punto di vista epistemologico.

Trasformazioni della scienza

Aspetti etici
Il dibattito mai concluso sulla natura della scienza e sulle relazioni tra scienza e società contiene contributi che – anche se poco conosciuti o dimenticati – varrebbe la pena rileggere. Ne cito uno in particolare, reso disponibile di recente da un membro di IRIS, Enzo Ferrara, e accessibile sul sito del Centro Studi Sereno Regis: “Aldous Huxley, Lev Tolstoj e la scienza moderna”(http://serenoregis.org/2012/03/aldous-huxley-lev-tolstoj-e-la-scienza-moderna-enzo-ferrara/).
In questa pagina propongo alcuni spunti di riflessione – da un articolo di giornale che a suo tempo mi aveva molto colpita, fino a un editoriale pubblicato nei giorni scorsi su Nature. Naturalmente le concezioni sulla natura della scienza influenzano profondamente le scelte personali e professionali degli scienziati, anche sul piano etico.

Armi chimiche usate sui soldati al fronte

"[...] Siamo quello che siamo: ognuno di noi, anche il contadino, anche l'artigiano più modesto, è ricercatore, e lo è da sempre. Dal pericolo innegabilmente insito in ogni nuova conoscenza scientifica ci possiamo e dobbiamo difendere in altri modi. E' verissimo che (cito Ryle) «la nostra intelligenza si è accresciuta portentosamente, ma non la nostra saggezza»; ma mi domando, quanto tempo, in tutte le scuole di tutti i Paesi, viene dedicato ad accrescere la saggezza, ossia ai problemi morali? Mi piacerebbe (e non mi pare impossibile né assurdo) che in tutte le facoltà scientifiche che si insistesse a oltranza su un punto: ciò che farai quando eserciterai la professione può essere utile per il genere umano, o neutro, o nocivo, Non innamorarti di problemi sospetti. Nei limiti che ti saranno concessi, cerca di conoscere il fine a cui il tuo lavoro è diretto. Lo sappiamo, il mondo non è fatto solo di bianco e di nero e la tua decisione può essere probabilistica e difficile: ma accetterai di studiare un nuovo medicamento, rifiuterai di formulare un gas nervino. Che tu sia o no un credente, che tu sia o no un "patriota", se ti è concessa una scelta non lasciarti sedurre dall'interesse materiale o intellettuale, ma scegli entro il campo che può rendere meno doloroso e meno pericoloso l'itinerario dei tuoi coetanei e dei tuoi posteri. Non nasconderti dietro l'ipocrisia della scienza neutrale: sei abbastanza dotto da saper valutare se dall'uovo che stai covando sguscerà una colomba o un cobra o una chimera o magari nulla." (Levi, 1986).

Pur essendo ancora ben presente la prospettiva di una scienza ‘oggettiva’ e ‘neutrale’, anche nella comunità accademica c’è chi fa notare che “[…] la scienza non è solo "sapere", è anche "agire" e lo scienziato, come un qualsiasi uomo, quando agisce lo fa in base a fini e a valori, che non sono mai neutrali. […] Nel scegliere il fine ultimo a cui tende la ricerca, cioè nel scegliere il campo in cui agire, la scienza non è neutrale” (Balzani, 2003).

Scienza e guerra

Il tema è attuale, come si può vedere leggendo un recente editoriale di Nature: “Much, if not most, scientific research has social and political implications, often broadly visible from the outset. In times of crisis (like the present), scientists must respond intellectually and professionally to the challenges facing society, and not think that safeguarding their funding is enough” (Editorial, 2012).

Prospettive dominanti
The continuum of nature is constantly broken down into a discontinuum of variables in the act of description (Bateson & Bateson, 1987).
La supposta ‘supremazia’ del sapere scientifico ‘oggettivo’ e ‘neutrale’ ha soffocato altri modi di interpretare la realtà. The conventional scientific solution has been to quantify a few of the variables, whereas the solution in indigenous knowledge has been to find ways of perceiving that continuum of nature and working with it (Berkes & Berkes, 2009).
La prevalenza di modi di conoscere analitici e riduzionisti della scienza, e più in generale della cultura occidentale ha portato a costruire un immaginario frammentato della natura. Proprio da questo approccio frammentato alla realtà si è costruita e alimentata la concezione di una separazione tra uomo e natura, e si è persa di vista la totale dipendenza dell’umanità dai sistemi naturali che la ospitano. La ‘quantifcazione’ del mondo, valorizzata dalla scienza moderna, ne ha reso più facile la ‘commercializzazione’, attraverso una relazione privilegiata con la visione dell’economia. Resta aperta, e molto dibattuta, la domanda se sia corretto, lecito, possibile dar un valore monetario alla natura...

Un drone in volo

Quando la scienza diventa ‘tecnoscienza’...
Sempre più spesso – negli ultimi decenni – si sente parlare di ‘tecnoscienza’. Questo termine è stato coniato nel 1970 dal filosofo belga Gilbert Hottois; fu poi ripreso e reso popolare nella comunità dei ‘science studies’ da Bruno Latour, Donna Haraway e altri. Come spiega Evelyn Fox Keller (2009) “The term came to be employed to underscore the illusory character of the classical divides between representing and intervening, looking and touching, pure and applied science, and to do away with these divides. It was a manifestly polemical intervention, aimed at debunking the myth of pure science, and recommending that henceforth we will not speak of science and engineering (or of science and technology), rather, we will speak only of the real world of technoscience”.
Lo sviluppo della ‘tecnoscienza’ ha favorito un uso sempre più strumentale del sapere orientato all’agire, accompagnato da una crescente concentrazione di potere (fisico, economico, politico). In certi settori (soprattutto quelli che richiedono ingenti finanziamenti) chi partecipa a una ricerca ha già aderito alle sue applicazioni - ha delegato ad altri il potere decisionale: in altre parole, ha perso di vista che “knowledge carries with it the responsibility to see that it is well used in the world” (Orr, 1991).

Quale scienza per la sostenibilità?

Può essere interessante analizzare criticamente certe linee di ricerca attualmente all’avanguardia, e chiedersi se e in che misura esse possono contribuire a conseguire una condizione di SOSTENIBILITA’ (sociale e ambientale) nel nostro pianeta. O – al contrario – come esse portino ad aumentare l’instabilità dei sistemi naturali e la disparità sociale. In altre parole: come c’è una sforzo collettivo – all’intero della comunità scientifica internazionale – a promuovere una ‘scienza della sostenibilità’, si possono individuare degli indirizzi, prospettive, metodologie che possano essere riconosciute come ‘scienza insostenibile’?

Scienza e crisi ecologica mondiale

La terra è abbastanza ricca per soddisfare i bisogni di tutti,
ma non l’avidità di ciascuno.

(Gandhi, 1947)

Nostra prima preoccupazione è ridefinire l’intero scopo dello sviluppo, che dovrebbe essere non sviluppare cose ma l’uomo. Gli esseri umani hanno bisogni fondamentali: cibo, casa, vestiti, sanità, educazione. Qualunque processo di crescita che non conduca alla loro soddisfazione – o peggio ancora li impedisca – è una mistificazione dell’idea di sviluppo
(Dichiarazione di Cocoyoc, 1974)

Scienza, guerra e crisi ecologica mondiale

Se si accoglie una interpretazione della scienza come un’attività umana radicata nella società, la dicotomia tra l’attività scientifica e i valori e pratiche umane si ricompone: ha senso, allora, chiedersi quale ruolo svolga la ricerca scientifica nel promuovere il soddisfacimento dei bisogni primari e nel permettere a ciascuno di far fiorire le sue "capacità".
La libertà di condurre diversi tipi di vita si riflette nell'insieme delle combinazioni alternative di functionings tra le quali una persona può scegliere; questa può venire definita la «capacità» di una persona. La capacità di una persona dipende da una varietà di fattori, incluse le caratteristiche personali e gli assetti sociali” (Sen, 1997).

Dall’inizio del XXI secolo si sono moltiplicati i contributi – epistemologici, sociologici, scientifici – volti a ridefinire la natura dell’impresa scientifica nell’ottica di una sua esplicita integrazione nella realtà storica, sociale, linguistica e nelle problematiche ambientali dei nostri tempi, e orientata alla ‘sostenibilità’ Gallopin (2004) propone una riflessione articolata dei cambiamenti che a suo parere sono utili nell’elaborazione di un nuovo sistema Scienza & Tecnologia, che “would look quite different than today’s dominant model. It would be much more exploratory, receptive to alternative ideas, and visibly more holistic (but not less rigorous) than today. Embracing uncertainty and incorporating the qualitative will lead to enormously broadening the universe of solutions (and of questions); new large areas of research will open up. Its openness to other forms of knowledge, the interaction with other world-views, with the problems faced by decision-makers, and with stakeholders, would result in new, richer ways to set research priorities” (pag. 9).
Gli sforzi messi in atto dagli studiosi impegnati nella ‘sustainability science’ tengono ben presenti i limiti del pianeta, il principio di equità, la necessità di salvaguardare i sistemi naturali che ci ospitano.

Quale crescita in un mondo limitato?

Il nostro pianeta sta vivendo una profonda crisi (non solo) ambientale: a partire dalla rivoluzione industriale le società del mondo occidentale hanno sfruttato le sue risorse a ritmi sempre più intensi, senza preoccuparsi dell’esauribilità di quelle non rinnovabili (i giacimenti minerari e di combustibili fossili), e senza tenere in considerazione il tempo necessario alla naturale rigenerazione di quelle rinnovabili (acqua, biomassa, aria). Dal secondo dopoguerra i paesi industrializzati (prima Europa e Nord America, poi via via i Paesi ‘emergenti’) hanno intrapreso una corsa con ritmi sempre più accelerati verso la crescita economica e lo sviluppo tecnologico, spronati dall’idea che il progresso – così concepito – potesse continuare all’infinito, e inseguendo un ideale di benessere basato sull’accumulo di ricchezze materiali e sull’aumento dei consumi.
Dato che viviamo in un pianeta con risorse limitate, e con ritmi limitati di rinnovamento, non c’è da stupirsi se il crescere del benessere materiale di una percentuale sempre più esigua di ricchi e super-ricchi si accompagna una povertà sempre più vasta e disperata di persone, collettività, intere popolazioni che sono state ridotte in miseria, non solo dal punto di vista economico, ma anche dal punto di vista ambientale, con sempre più scarso accesso all’acqua, al suolo, al cibo.

Siccità in Cina

Sono circa il 20% della popolazione mondiale i veri beneficiari dello sviluppo economico, che potrebbe essere definito come la crescita dell’artificiale a scapito del naturale. Coloro che beneficiano di questa situazione hanno un potere di acquisto che consente loro di comprare automobili e di spostarsi in aereo, di indossare abiti di poliestere e di cibarsi di pesce, carne e frutta che provengono da ogni parte del mondo. Sono la gente della biosfera, perché godono i prodotti dell’intera biosfera - in contrasto con la gente dell’ecosistema, che ha un’area di accesso estremamente limitata. Poiché divorano ogni cosa venga prodotta sulla faccia della Terra, possono essere chiamati onnivori (Gadgil & Guha ,1995).

Il grande mito della potenza e del controllo

La documentazione sempre più puntuale dei limiti biofisici del nostro pianeta, la quantificazione della riduzione di risorse, la misura degli squilibri dei cicli biogeochimici globali (dall’aumento della CO2 in atmosfera alla riduzione dei serbatoi sotterranei di acqua o dei depositi di nitrati) non sono sufficienti a rendere prudenti i ‘potenti’ della Terra, sempre più decisi a combattere (con tutte le armi della tecnoscienza) per mantenere stili di vita privilegiati che – se adottati da tutta l’umanità – richiederebbero di disporre di ben più di un pianeta!
Ma i ‘potenti’ non potrebbero agire se non avessero il sostegno – almeno nelle ‘democrazie’ occidentali – di una parte rilevante della società. Ad alimentare questo sostegno – oltre a un pubblico che difficilmente riesce a sottrarsi alle idee veicolate dai media - vi è una componente significativa di scienziati e ricercatori, che da posizioni chiave delle istituzioni orientano le scelte politiche (e i conseguenti finanziamenti) verso un ipotetico futuro di definitiva conquista e dominazione del pianeta e dei sistemi naturali. Ne sono esempi significativi due nuovi campi di ricerca: quello della GEOINGEGNERIA e quello della NANOSCIENZA.


Le implicazioni della tecnoscienza

Bisogno di ‘potenza’

La moderna tecnoscienza – che sia rivolta alla geoingegneria oppure ai nanoprodotti – ha bisogno di ingenti fondi, e di grandi quantità di materia, quindi di risorse che estrae dai sistemi naturali. Ad essa, inoltre, si dedicano persone di grande competenza, che hanno ricevuto una formazione specialistica – il più delle volte grazie a istituzioni pubbliche.
Le grandi imprese scientifiche sono anche estremamente energivore, per poter costruire strumenti molto sofisticati, sviluppare elevate capacità di calcolo e scambi di informazioni.

Consumi energetici dei grandi centri di ricerca
Laboratori nazionali e internazionali usano complessivamente circa 3 terawattore all’anno in Europa, e 4 terawattore (TWh) negli USA: insieme sono pari al consumo di energia di Paesi come l’Estonia o il Ghana. Lo European Spallation Source (ESS) consuma 250 GWh all’anno (che intende in parte recuperare per fornire calore): nel sito si legge che in questa sede si prevede di condurre esperimenti in fisica quantistica, biomateriali e nano-scienza (http://ess-scandinavia.eu/).
[G = 109 ; T = 1012]

Consumi energetici dei centri di calcolo e delle reti informatiche
Il calcolatore attualmente più potente del mondo è il Tianhe-1A, di fabbricazione cinese (prodotto alla National University of Defense Technology), e consuma 4.04 megawatts, (http://www.slashgear.com/tianhe-1a-supercomputer-breaks-world-record-with-nvidia-gpus-28110848/).
I grandi calcolatori e le reti informatiche (web farms, cloud computing) consumano molta energia soprattutto per raffreddare i componenti elettronici: per Google si tratta di circa 2,26 terawattore di energia all’anno (dati 2011).

L’innovazione richiede competitività

Le politiche dei Paesi che sostengono lo sviluppo delle tecnoscienze sono orientati a mantenere posizioni di controllo su luoghi strategici del pianeta: i giacimenti petroliferi, le miniere, i terreni produttivi e le aree più pescose. La ‘competitività’ è la parola d’ordine, insieme a ‘crescita’ e ‘innovazione’, e la tecnoscienza viene presentata come la chiave che occorre possedere per conseguire il ‘benessere’.
Ma la competitività implica che ci sia una competizione – appunto - in cui due o più avversari si confrontano, ciascuno con la prospettiva di prevalere sull’altro. Negli ultimi decenni abbiamo assistito – e in taluni casi abbiamo partecipato, direttamente o indirettamente – a un crescendo di queste ‘competizioni’ che spesso hanno assunto la concretezza di conflitti armati: guerre dichiarate o mascherate, con un comune denominatore, la competizione per l’accesso e il controllo di risorse divenute scarse.
Le società tecnologicamente avanzate hanno bisogno di grandi quantità di energia, di minerali, di acqua... In nome della sicurezza e del progresso si combatte per il petrolio, consumandone una gran quantità e distruggendo negli scontri gli stessi pozzi petroliferi per i quali si combatte. Si combatte per il controllo di fonti di acqua, avvelenando le fonti stesse con i bombardamenti. Ci si scontra per l’accesso a miniere, occupando luoghi sacri a popolazioni indigene e distruggendo la biodiversità che si vorrebbe preservare.
Le ricerche – come quelle geo- e nano-tecnologiche – che richiedono grandi investimenti finanziari, energetici, materiali, e impegnano intelligenza e creatività di un numero molto elevato di scienziati, sono orientate a produrre vantaggi per una esigua minoranza di persone: le stesse che detengono il potere (finanziario, politico, economico, militare). Non a caso spesso ricevono finanziamenti anche dagli apparati militari: cercare di impadronirsi con la forza di beni e servizi contesi con altri è frutto di una visione del mondo fondata sulla retorica della difesa – anche armata – dei ‘propri’ interessi e valori; fondata inoltre sulla mancanza di consapevolezza dell’interdipendenza dei destini umani – tutti abitanti in un solo pianeta.

Sistema militare, tecnoscienza, guerra. Dati espliciti e narrative sotterranee

Tecnologie e preparazione militare

I più recenti dati pubblicati dal SIPRI - Stockholm International Peace Research Institute (febbraio 2012) indicano che le vendite di armi e di servizi militari continuano ad aumentare, e hanno raggiunto la cifra di 411,1 miliardi di $ nel 2010.
Ma – mentre è facile ottenere un coro di indignati consensi sul commercio di armi, strumenti che esplicitamente servono a produrre violenza diretta - assai più difficile è far esprimere una condanna di altre attività, anch’esse portatrici di forme di violenza nei confronti di comunità umane e di sistemi naturali. In particolare, tra quelle in cui possono essere coinvolti degli scienziati ne possiamo segnalare due: la collaborazione a ricerche militari, e il contributo a forme di sfruttamento sociale ed economico.

Bambini a scuola imparano l'uso delle armi

1) la collaborazione a ricerche militari si può manifestare in ambiti molto diversi: dalla messa a punto di nuove procedure per la medicina d’urgenza, alla sperimentazione di sostanze chimiche con effetti letali. La maggior parte delle ricerche si svolge sotto segreto militare, ma talvolta affiorano notizie anche in articoli pubblicati sulle riviste accademiche più note. Qualche esempio: Toxicology: Chemicals Behind Gulf War Syndrome? Pennisi 1996). War as a Laboratory For Trauma Research (Bohannon, 2011); Predicting the Psychological Risks of War (Miller, 2011).
2) Una forma di violenza indiretta si esplica attraverso specifiche scelte politiche ed economiche prese da una élite: scelte che causano la perdita del lavoro, il mancato accesso al cibo e all’acqua, la sottrazione della propria terra. Dominano attualmente degli immaginari del futuro, grandi narrative, valori e simboli sociali orientati all’ “innovazione”, e in questo processo sono state profondamente modificate le relazioni tra scienza, stato e mercati, “encouraging scientists to adopt the entrepreneurial and utilitarian cultural codes of the private sector, and repositioning universities as would-be engines of a new, knowledge-based economy”. (Szerszynski, 2011).

Voci critiche nel mondo accademico

Oltre ai numerosi Gruppi e Associazioni che nella società civile sono impegnati a promuovere una cultura della pace e della nonviolenza, anche nel mondo accademico sono presenti persone che, individualmente o all’interno di Istituzioni, sono impegnate a orientare la ricerca scientifica verso finalità di Pace, Equità e Sostenibilità. Alcuni – nonostante le ristrettezze economiche – svolgono interessanti ricerche per mettere in luce (e proporre al pubblico dibattito) il problema della responsabilità degli scienziati e delle Istituzioni.

INES

International Network of Engineers and Scientists for Global Responsibility
(http://www.inesglobal.com/ines-home.phtml)

INES è una Organizzazione (con base in Germania) di scienziati e ingegneri cge promuove la responsabilità globale per la Pace e la Sostenibilità. In un recente messaggio ribadiscono “that there are limits to the applications of science and technology, and that those limits must be defined by global responsibility to those alive on the planet now and to future generations that will follow us on the planet”.
Questa Organizzazione si è fatta promotrice ti una LETTERA APERTA che è stata inviata nel luglio 2011 a J.M.D. Barroso e ai Commissari dell’UE: la ricerca pubblica dovrebbe portare beneficio alla società, non al ‘big business’ (http://www.inesglobal.com/download.php?f=8f05065a38fe636c69c06991c1be5810):
In questa lettera 98 tra società civili e gruppi di ricerca in Europa sottolineano che le bozze di rogrammi messi a punto per I prossimi finanziamenti alla ricerca (2014-2020) non prendono davvero in considerazioni problemi reali: chiedono pertanto che ll’agenda dell’UE sia ridefinita, in modo da rispondere ai bisogni della società e dell’ambiente piuttosto che a quelli del ‘big business’.

Scientists for Global Responsibility

Scientists for Social Responsibility
(http://www.sgr.org.uk/)

E' una Organizzazione indipendente con sede nel Regno Unito, della quale fanno parte circa 1.000 tra scienziati naturali e sociali, ingegneri, esperti informatici, architetti. Promuove scienza, design e tecnologia in grado di contribuire alla pace, alla giustizia sociale, alla sostenibilità ambientale.
Tra le ricerche in corso particolarmente interessanti sono quelle che riguardano, rispettivamente:
a) l’influenza delle multinazionali sulla scienza&tecnologia
b) l’influenza militare sulla scienza&tecnologia

Due suggerimenti di letture:
- Un Report: Chris Langley, Stuart Parkinson and Philip Webber: Behind Closed Doors Military influence, commercial pressures and the compromised university (2008).

- Una newsletter: SGR Newsletter 40 (autumn 2011)
Feature articles cover: nuclear power after Fukushima; war in Libya; military robotics and drones; the low energy society; geoengineering; shale gas; science commercialisation; militarisation of EU research; nuclear weapons treaties; low energy buildings; Millennium Consumption Goals; risks of emerging technologies; and the Luddites anniversary

ETC Group

ETC Group: Action Group on Erosion, Technology and Concentration

Questo gruppo è impegnato nella conservazione e nell’avanzamento sostenibile della diversità culturale ed ecologica e dei diritti umani. A questo fine ETC sostiene lo sviluppo socialmente responsabile di tecnologie utili ai poveri e agli emarginati, e si occupa di contribuire a mettere a punto sistemi di governance internazionale e di regolamentazione del potere delle multinazionali.
ETC opera in partnership con organizzazioni della società civile – a livello locale, regionale e globale, per promuovere alternative tecnologiche e processi di autosviluppo.

Quale scienza a RIO + 20?

Leggendo il testo della Dichiarazione di Cocoyoc (1974) citata all’inizio, si ha la sensazione di aver perso l’orientamento, in questi quasi 40 anni… 40 anni in cui l’attività congiunta di imprese multinazionali, tecnoscienza e forze militari ha contribuito a portare scompiglio in tutti i sistemi naturali e i delicati equilibri del nostro pianeta, e ad ingigantire gli squilibri tra le possibilità di auto-realizzazione delle comunità umane.

'The road forward does not lie through the despair of doomwatching or through the easy optimism of successive technological fixes. It lies through a careful and dispassionate assessment of the 'outer limits', through cooperative search for ways to achieve the 'inner limits' of fundamental human rights, through the building of social structures to express those rights, and through all the patient work of devising techniques and styles of development which enhance and preserve our planetary inheritance.'

A giugno 2012 l’attenzione politica globale sarà rivolta al grande Summit mondiale sull’ambiente – la Conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile - familiarmente chiamata Rio+20, perché a distanza di 20 anni dal primo Summit sulla Terra, svoltosi a Rio de Janeiro nel 1992.
Lì si confronteranno due visioni del mondo, due immaginari in grado di orientare stili di vita, scelte politiche, progetti di ricerca:
- quello della tecnoscienza, del potere, del controllo e dominio sulla natura (e sulle comunità umane più deboli)
- quello della assunzione di responsabilità, dell’autodeterminazione, della sovranità alimentare, dell’attenzione per i più deboli.

A questo appuntamento – ormai vicino – potrebbe essere utile avvicinarsi cercando di fare chiarezza su quale modello di scienza vogliamo scegliere e praticare, riprendendo le riflessioni di Spangenberg & O’Connor (2010) e la loro lista:
1. The initial ‘modern‘ model (perfection/ perfectibility)
2. The Precautionary Model (uncertain and inconclusive information)
3. The Model of Framing (arbitrariness of choice and possible misuse)
4. The Model of Science/Policy Demarcation (possibility of abuse of science)
5. The Model of Extended Participation (working deliberatively within imperfections)

Raffinerie in Nigeria

Il modello di scienza al quale ciascuno aderisce non dipende solo dalle scelte individuali, ma dalla struttura e dall’organizzazione sociale che la società civile decide di darsi: una società che accetta una crescente influenza del settore militare e delle grandi corporazioni sulla scienza e sulla tecnologia non può fare altro che esplorare il mondo con gli strumenti del potere e dell’interesse: gli esiti di una simile esplorazione non potranno che essere coerenti con i mezzi.
Ma – a monte di ciò – una società viene orientata a decidere sulla base di potenti messaggi che plasmano la cultura: e non si tratta solo dei media (che chiaramente sono pilotati dalle forze politiche ed economiche dominanti). Si tratta anche del sistema educativo, che attraverso un percorso di molti anni contribuisce, spesso con meccanismi impliciti, a costruire nei giovani un’idea di scienza che li influenzerà profondamente.

Vincenzo Balzani, illustre chimico che ha svolto una intensa attività scientifica nei campi della fotochimica e della fotofisica, si è impegnato di persona per sviluppare nei giovani una consapevolezza della responsabilità degli scienziati. Nel 2003, all’apertura di un workshop su Scienza e Pace, si esprimeva così: “Negli ultimi decenni, e in particolare in questi ultimi anni, c'è stata una grande diffusione della cultura scientifica, della quale noi stessi siamo portatori. Ora non vorrei che fra qualche decennio gli storici fossero costretti a dire: Scientific education has produced many people who are able to make science, but unable to distinguish what.s worth making... Come scienziati e come cittadini abbiamo una grande responsabilità sociale e dobbiamo stare bene attenti che la scienza sia usata per la pace e non per la guerra, per alleviare la povertà e non per mantenere i privilegi, per ridurre e non per aumentare il gap fra i paesi sviluppati e quelli sottosviluppati” (Balzani, 2003).

La ricerca scientifica, se non vuole correre il rischio di ‘covare il cobra’, potrebbe tenere in mente il suggerimento di Gandhi, il suo ‘Talismano’ (1948).

Il Talismano di Gandhi

Riferimenti bibliografici e letture

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Bateson G. & , Bateson M.C., Angels Fear: Towards an Epistemology of the Sacred, Bantam Books, New York, 1987.
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Sitografia

Centro Documentazione Conflitti Ambientali http://www.cdca.it/
Environmentalists Against War http://www.envirosagainstwar.org/
Inventory of Conflict & Environment http://www1.american.edu/TED/ice/ice.htm
Peace Pledge Union (PPU): sezione del sito dedicata al tema Guerra & Ambiente http://www.ppu.org.uk/war/environment/index_en.html
Scientists for Social Resposibility http://www.sgr.org.uk/
Stockholm International Peace research Institute. http://www.sipri.org/


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Crediti

Le immagini sono di (in sequenza sulla pagina):
- Grafico: elaborazione di Elena Camino
- Science and Prohibited Weapons Robin Coupland and Kobi-Renée Leins, SCIENCE VOL 308 24 JUNE 2005, pag. 1841
- http://instrumental.zen8.net/gallery/war-science.jpg
- http://www.agenziastampaitalia.it/immagini/drone.jpg
- Alexander Potapov;
http://www.americanforeignrelations.com/O-W/Science-and-Technology-World-war-ii-and-the-early-cold-war.html
- http://www.asianews.it/
- U.S. Marine using a tactical training simulation embedded in CAI. [Image made by Amela Sadagic, MOVES Institute, Naval Postgraduate School (NPS)]. In “Education and Training Technology in the Military, di J. D. Fletcher (Science 2 January 2009: Vol. 323 no. 5910 pp. 72-75)
- School children learn to handle rifles at a stall set up by Defence Research and Development Organisation at ‘Shaastra 2010’ in IIT-M on Friday. Photo: M. Karunakaran (The Hindu, CHENNAI, October 2, 2010)
- http://www.inesglobal.com/ines-home.phtml
- http://www.sgr.org.uk/
- http://http://www.etcgroup.org/
- Foto Gilligan/Friends of the Earth;
http://cdn.blogosfere.it/ecoalfabeta/images/febbraio/Flares%20nigeria.jpg
- http://www.assefaitalia.org


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